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![]() PARTITO COMUNISTA CINESE Organizzazione politica fondata nel 1921 e al potere nella Repubblica popolare cinese dal 1949. Nacque per scelta dei giovani intellettuali di Gioventù nuova e del movimento del Quattro maggio nel 1919, in particolare dall'adesione alla terza Internazionale e alla sua lotta contro il capitalismo mondiale, considerato la causa dell'oppressione dei popoli coloniali. L'asservimento alle grandi potenze era stato percepito come una lacerazione dagli intellettuali, tradizionali depositari dell'unità e della sovranità dello stato e dei valori morali che lo legittimavano. Per salvare la Cina i riformatori dei cento giorni del 1898 e poi Sun Yatsen avevano riposto speranze nelle idee occidentali. Dopo il 1915 scelsero invece modelli antagonistici ai dominatori, cercando elementi per costruire una strategia rivoluzionaria: la rivoluzione d'ottobre, il marxismo, la lotta mondiale contro l'imperialismo. Tra le posizioni degli intellettuali rivoluzionari e la realtà delle masse povere vi erano tuttavia diversità e contraddizioni che pesarono a lungo nella vita del partito; superata solo nelle fasi cruciali della lotta sociale, questa contrapposizione tra dirigenti "maestri" e masse popolari "allieve" causò in seguito, dopo la presa del potere, il rinnovarsi della divisione tra governanti e governati. LA FONDAZIONE. Il partito fu fondato con l'aiuto dell'Internazionale nell'estate 1921 da poche decine di intellettuali, influenzati da Chen Duxiu e Li Dazhao. Primo terreno d'azione fu, con l'ausilio degli studenti, la mobilitazione della classe operaia, ristretta ma gravosamente sfruttata. Furono organizzati sindacati e scioperi, ma già nel 1923 appariva chiaro come, senza l'appoggio di altri ceti sociali, la classe operaia e i suoi paladini intellettuali sarebbero stati travolti dalla repressione dei signori della guerra. Di qui l'incontro con Sun Yatsen che, contando anche sull'aiuto dell'Urss, stava riprendendo a Canton la lotta per creare uno stato moderno: nel 1924 si giunse a un'alleanza tra comunisti e Guomindang per realizzare l'unificazione e l'indipendenza della Cina. La difficile collaborazione durò fino al 1927, quando fu troncata dalla spietata repressione anticomunista attuata da Chiang Kai-shek, ma consentì la rapida diffusione dell'ideologia rivoluzionaria nel ceto medio urbano e una decisiva maturazione dei giovani comunisti divenuti dirigenti politici e militari. La repressione, sanguinosamente proseguita negli anni successivi con lo sterminio quasi totale dei militanti operai e la falcidia di quelli intellettuali, avrebbe distrutto il partito se una parte di questi ultimi non si fosse posta alla testa della lotta sociale che stava maturando nelle campagne. DA PARTITO URBANO A PARTITO CONTADINO. La guerriglia contadina e la formazione delle "zone rosse" crearono in varie regioni della Cina uno stato rivoluzionario contrapposto a quello del Guomindang, un embrione di società nuova e antagonistica sia a quella solo parzialmente moderna delle città sia a quella tradizionale dominata dai proprietari terrieri. Mao Zedong più di ogni altro vedeva nella spinta eversiva dei contadini poveri la caratteristica della lotta di classe in Cina e la forza per una possibile vittoria della rivoluzione: egli difese questa strategia contro Li Lisan, che nel 1930 voleva impiegare l'Armata rossa, nata nelle campagne per liberare il proletariato urbano, e contro Wang Ming, che dopo il 1931 e nel 1937 cercò di rendere i comunisti cinesi subalterni all'Urss. LA RESISTENZA ANTIGIAPPONESE. Conquistata la direzione del partito nel corso della Lunga marcia, Mao interpretò la volontà di tutti i comunisti cinesi dando assoluta priorità alla resistenza contro l'invasione giapponese (1937), mobilitando la volontà di sopravvivenza delle masse contadine, prime vittime delle confische, delle razzie di manodopera e delle operazioni di sterminio degli invasori. Benché l'unità d'azione raggiunta con il Guomindang dopo l'incidente di Xian rimanesse sempre precaria, nei terribili otto anni di guerra antigiapponese il partito seppe mobilitare quei due terzi dei cinesi che si trovavano sotto l'occupazione straniera, creare ampie zone controllate dalla Resistenza e prefigurare l'embrione di una società rurale nuova. Questo processo non solo rese più facile, dopo la liberazione dai giapponesi, sostenere la ripresa della guerra civile (1945-1949) contro il Guomindang, ma consentì di reclutare una vasta leva di militanti e di dirigenti capillarmente insediata nelle campagne e "educata" dagli intellettuali, soprattutto tramite l'Armata, a svolgere compiti di governo nell'intero paese. ALLA GUIDA DELLA REPUBBLICA POPOLARE. Con la fondazione della Repubblica popolare cinese, il 1° ottobre 1949, l'obiettivo di riportare la Cina all'unità e alla piena sovranità fu raggiunto nonostante le difficoltà a lungo create dapprima dall'assedio militare, diplomatico ed economico degli Stati Uniti fino al 1972 e, dopo il 1960, dall'ostilità e dalle minacce dell'Urss. Più difficile il compito di dare alle masse rurali prosperità e al paese strutture di produzione industriale e istituzioni culturali moderne: la trasformazione sociale nelle campagne trasse vantaggio dalla rete dei "quadri" rurali formatisi nella lotta sociale armata e poi insediati al potere nelle campagne con la formazione delle comuni popolari nel 1958. Lo sviluppo industriale fu attuato secondo il modello sovietico con l'obiettivo, oltre che di disporre di una produzione di beni per soddisfare i consumi popolari e le esigenze militari, di assorbire la disoccupazione e di creare una società moderna nelle città. I risultati economici furono, sull'arco di quarant'anni, rilevanti, anche se a più riprese si manifestarono gravi contraddizioni sociali e tensioni contro il potere totale e autoritario che il partito esercitava sul paese attraverso pratiche pervasive di condizionamento e ondate di repressione, in teoria contro i privilegiati del passato, in effetti anche, e con il passare del tempo soprattutto, contro ogni forma di dissidenza e contro la denuncia dei nuovi privilegi. Il rischio di un rovesciamento del potere spinse negli anni sessanta i comunisti cinesi, analizzando l'esperienza storica dell'Unione sovietica, a denunciare (tra l'altro nei Venticinque punti resi noti nell'estate 1963) ogni linea che rinunciasse alla trasformazione della società. Ciò fu all'origine della rivoluzione culturale iniziata nel 1965. La morte di Mao nel 1976 e, alla fine del 1978, l'assunzione della presidenza da parte di Deng Xiaoping modificarono la strategia sociale, ridimensionandone in particolare gli obiettivi ugualitari, ma non il potere del partito sullo stato e il rifiuto di un sostanziale pluralismo, appena ventilato in termini incerti nel 1986 dall'allora segretario Hu Yaobang, presto rimosso dalla carica. Proprio il monopolio del partito sullo stato e i larghi privilegi, più o meno leciti, goduti dai dirigenti furono oggetto delle denunce dei giovani che nel 1989 manifestarono per due mesi in piazza Tian'anmen a Pechino prima di subire una dura repressione. Dopo lo scioglimento del Pcus (1991), il Partito comunista cinese, con i suoi 40 milioni di membri, rimase il maggior partito comunista esistente. E. Collotti Pischel ![]() J. Guillermaz, Storia del Partito comunista cinese 1921-1949, Feltrinelli, Milano 1971; J. Guillermaz, Il Partito comunista cinese al potere 1949-1972, Feltrinelli, Milano 1973; E. Collotti Pischel, Storia della rivoluzione cinese, Editori riuniti, Roma 1971; History of the Chinese communist party 1919-1990, Foreign Languages Press, Pechino 1991; Cambridge History of China (volumi XIII, XIV e XV), Cambridge University Press, Cambridge 1986, 1987, 1991. |
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